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LA TERAPIA MEDICATIVA

La guarigione di un’ulcera prevede prioritariamente rispetto a ogni atto medicativo il riconoscimento della causa che l’ha prodotta (1). Qualsiasi intervento medicativo  in assenza di una diagnosi eziologica rischia di peggiorare non solo l’ulcera ma anche la salute del paziente (2). Un esempio tipico di cura incongrua è l’uso di medicazioni, di qualsiasi genere, in presenza di una ulcera neoplastica (3-5).

Figura 1 sarcoma di Kaposi curato per due mesi come ulcera neuropatica plantare (da referenza 5)

 

Una ferita cutanea tende spontaneamente alla guarigione a meno che non esistano fattori locali o generali  ostacolanti. I fattori generali sono molti e corrispondono alla malattia diabetica in senso lato, in particolar modo al compenso metabolico, e alla coesistenza di altre malattie oltre il diabete (6).

 

Malattie tumorali e  malattie immunologiche e le corrispondenti terapie chemio o radioattive o immunosoppressive sono le classiche patologie che rendono difficoltosa la guarigione di un’ulcera. Una patologia venosa può coesistere in un diabetico rendendo più difficoltosa la guarigione. Deficit nutrizionale da malassorbimento o perdita di nutrienti è sicuramente causa di difficile guarigione. Lo scompenso metabolico come detto  collabora alla non guarigione di un’ulcera del piede rendendo più deficitaria la risposta immune, la chemiotassi e la fagocitosi (7-9).

In caso di scompenso metabolico si deve però fare attenzione a che non sia l’ulcera infetta a determinare lo scompenso metabolico: nel qual caso non è curando lo scompenso che si farà guarire l’ulcera, ma sarà curando l’ulcera che si curerà lo scompenso.

I fattori locali sono la causa principe della non guarigione dell’ulcera e sono:

  • l’infezione
  • l’ischemia
  • il trauma ripetuto

ULCERA ISCHEMICA Un’ulcera ischemica richiede la rivascolarizzazione: solo una buona perfusione del tessuto perilesionale permette la guarigione di un’ulcera ischemica (10,11).

Se non vi è stata morte tissutale, la guarigione avverrà spontaneamente con un’iter medicativo adatto (12).

Se vi è stata morte tissutale, parziale o  a tutto spessore (gangrena), sarà possibile una guarigione chirurgica che elimini i tessuti morti conservando una parte del piede più o meno lunga a seconda di quanto estesa sarà stata la distruzione tissutale. Quando rivascolarizzata l’ulcera ischemica sarà trattata dal punto di vista medicativo come infetta se vi è infezione o come sterile in fase riparativa se non vi è infezione. Certamente il trattamento medicativo soprattutto se necessario un debridement dovrà essere particolarmente cauto: un’ulcera neuropatica perdona se non tutto, molto. Un’ulcera ischemica non perdona quasi nulla. Quanto può perdonare un’ulcera ischemica è strettamente proporzionale al grado di ischemia: conoscere l’ossimetria transcutanea e/o l’ABI del paziente potrà dare una ottima comprensione di quanto possa essere delicata la situazione. Si rimanda per ulteriori particolari  al capitolo sul piede ischemico.

ULCERA INFETTA Un’ulcera infetta necessita innanzitutto di una diagnosi sulla capacità della patologia  infettiva di dare fenomeni sistemici che possano mettere a repentaglio non solo il salvataggio d’arto ma anche la vita del paziente (13).

La prima necessità è quella di distinguere se un’ulcera infetta necessita di provvedimenti immediati o se è sufficiente un intervento medicativo. Le infezioni compartimentali (ascesso) o le infezioni da anaerobi (gangrena gassosa) o da germi misti (fascitenecrotizzante) richiedono provvedimenti terapeutici chirurgici, che se non intrapresi possono essere di conseguenze gravi per il paziente (14).

Un’ulcera infetta, acuta o cronica,  limitata alla ferita e all’immediato tessuto perilesionale è l’ulcera che si presta a una terapia medicativa locale capace di condurre l’ulcera allo stato di sterilità che permetterà di adattare l’atteggiamento medicativo alla fase di riparazione tissutale. Anche nel caso di una infezione locale non compartimentale sarà comunque necessario prestare attenzione ai necessari provvedimenti sistemici quali antibioticoterapia nella forma ottimale, orale o intramuscolare o intravenosa, ottimizzazione del compenso metabolico,  del compenso cardio-respiratorio,  dello stato nutrizionale, dell’idratazione (15).

Un’ulcera infetta è un’ulcera in cui vi sono più di 106 batteri per grammo di tessuto. Questo significa che la sola presenza di batteri non ha significato clinico di infezione. La presenza di batteri anche in grande quantità ma senza segni clinici di infezione è definita contaminazione se non vi è crescita batterica o colonizzazione se vi è crescita che non provoca reazione nell’ospite (16).

 

La reazione locale dell’ospite all’infezione si esplica con la produzione di essudato e con segni di flogosi perilesionale. L’essudato sarà purulento se sostenuto da germi quali stafilococco, escherichia, pseudomonas, streptococco, oppure putrido maleodorante se sostenuto da germi misti gram positivi e gram-negativi, oppure ancora putrido necrotico  fortemente maleodorante se sostenuto da germi anaerobi.

La gestione medicativa di un’ulcera infetta è affidata all’uso di antisettici, che possono essere usati insieme a una medicazione secondaria o essere già inseriti in una medicazione complessa (17).

Gli antisettici sono definiti come sostanze capaci di limitare per contatto l’infezione nei tessuti viventiNon necessariamente deve uccidere tutti microrganismi: ma deve essere in grado di ridurli ad un livello tale che non sia pericoloso per la salute. Gli antisettici quindi non sterilizzano, ma permettono di limitare numero e attività di batteri e virus, in relazione alle caratteristiche del singolo antisettico e dell’obiettivo che ci si propone di ottenere.

Il meccanismo d’azione è la tossicità per tutte le cellule viventi: utile sui microrganismi, è evidentemente dannosa sui tessuti vitali. E’ categorico quindi non utilizzare antisettici su un’ulcera non infetta ma comunque valutare il vantaggio dell’uso di un antisettico anche quando lo si usa in una ferita infetta (18).

Per gli antisettici non viene descritta comunemente una selettività batterica come per gli antibiotici: tuttavia alcuni germi come lo pseudomonas sono particolarmente sensibili all’acido acetico, mentre agenti ossidanti come l’acqua ossigenata sono indicati con uso reiterato in brevi intervalli di tempo in caso di germi anaerobi (ovviamente dopo adeguato debridement). Esiste comunque la possibilità di saggiare la sensibilità dei germi in causa così come per gli antibiotici anche per gli antisettici con la tecnica chiamata topogramma che evidenzia l’efficacia di vari antisettici ai microrganismi presenti nell’ulcera (Figura 2).

Figura 2  referto di topogramma con indicati i germi individuati, gli antisettici testati e la sensibilità/resistenza di ognuno di essi

Gli antisettici vengono comunemente somministrati sulla lesione in forma di soluzione acquosa: la durata del contatto, più o meno prolungato, e la frequenza con cui somministrare l’antisettico nel corso della giornata saranno stabilite in relazione al tipo di antisettico usato. Per gli antisettici a lenta penetrazione sarà necessario usare impacchi di 10 o più minuti per garantire la penetrazione tissutale. Per gli antisettici a breve durata d’azione sarà necessario cambiare spesso la medicazione per consentire la continuità dell’azione antisettica (19).

Perché gli antisettici siano attivi devono venire a contatto con la superficie ulcerativa: usare gli antisettici lasciando in situ essudato o materiale necrotico impedisce l’azione degli antisettici. L’impiego degli antisettici sarà sempre secondario a manovre di rimozione del materiale non vitale presente sulla ferita, con le tecniche illustrate nei precedenti capitoli.

In tabella 1 i principali antisettici attualmente usati.

Tabella 1 principali antisettici

ANTISETTICO CATEGORIA VANTAGGI SVANTAGGI
acido acetico acido organico pseudomonas irritante
acqua ossigenata ossidante irritante, breve durata
permanganato K ossidante colorante, breve durata
benzalconio Cl tensioattivo ben tollerato inattivato da proteine
ipoclorito Na alogeno rapidità d’azione irritante, citotossico
clorammina alogeno rapidità d’azione irritante
iodopovidone alogeno ampio spettro colorante,citotossico
clorexidina biguanide rapidità d’azione allergizzante
nitrato Ag metallo pesante ampio spettro colorante,citotossico
mercurocromo metallo pesante ampio spettro colorante,citotossico

 

Non viene citato l’alcool perché ormai non più usato come antisettico stante la sua forte azione disidratante, che si estende anche alla cute sana circostante. Alcuni ancor oggi usano l’alcool per “seccare la gangrena e ottenere l’autoamputazione delle dita” (20).

Noi non abbiamo mai visto dita gangrenose cadere spontaneamente. Abbiamo però visto molte dita trattate con alcoolizzazione diventare delle amputazioni transmetatarsali o peggio

Vi sono altri antisettici in commercio e certamente la tabella ne ha trascurato alcuni: l’importante quando si usa un antisettico conoscerlo: assorbimento, penetranza, emivita, efficacia, batteri target, tossicità.

Vi sono poi anche varie forme di veicolo di uno stesso antisettico: basti per tutti le varie forme – spray, crema, membrana – in cui può essere utilizzato l’argento.

Recentemente è stato messo in commercio un antisettico incolore a base di acqua super ossidata, testato anche in un lavoro Italiano che ha dimostrato una maggior significativa efficacia nelle ferite infette postchirurgiche rispetto allo iodopovidone (21,22).

Esistono antisettici in forma di creme o unguenti: personalmente ne riteniamo controindicato l’uso perché inducono una macerazione dei tessuti che rende difficile l’interpretazione delle caratteristiche semeiologiche dell’ulcera: essudato o unguento ? E sotto cosa c’è ?

La figura 3 mostra un caso di lesione completamente coperta da antisettico in crema che rende impossibile qualsiasi giudizio sulla lesione.

Figura 3 lesione coperta da crema antisettica

 

Antisettici liquidi colorati hanno un uso razionale in chirurgia dove devono delimitare il campo operatorio: le zone non colorate identificano le zone non irrorate dall’antisettico. L’uso invece di antisettici colorati in funzione medicativa ha il difetto di nascondere completamente il quadro semiologico di una lesione: la figura 4 mostra due piedi rossi di mercurocromo che nasconde completamente le caratteristiche della cute del piede.

Figura 4 piedi completamente ricoperti di antisettico liquido colorato nei quali è non valutabile lo stato della cute perilesionale

La figura 5 è un caso eclatante di piede inviato d’urgenza per sospetto flemmone: eliminato il solito mercurocromo si è eliminato anche il flemmone……..

Figura 5 paziente inviato per sospetto flemmone esteso al mesopiede…

 

 

La figura 6 mostra il caso di un  paziente con ulcere plantari aperte da anni che invece di scaricare le ulcere ha continuato a detergerle col betadine riducendo tutto il derma periulcerativo a una pergamena iodata e non impedendo all’infezione di propagarsi fino all’osso.

Figura 6 ulcere plantari neuropatiche curate per anni con betadine.

 

Per ovviare ai limiti di continuità d’azione degli antisettici in soluzione, sono oggi disponibili medicazioni che garantirebbero una azione continuativa della funzione antisettica del prodotto contenuto nella medicazione. Queste medicazioni sono in grado di veicolare antisettici vari e vengono appunto definite appunto antisettiche e permettono di lasciare in situ la medicazione per molti giorni, fino a una settimana in alcune ulcere poco secernenti . In figura 7 una medicazione  a base di ioni d’argento e in figura 8 una medicazione idrofobica in vari formati che permette di adattare la medicazione al tipo di lesione: piatta, cavitaria, fistoliforme, etc e in figura 9 il meccanismo antisettico di una medicazione idrofobica

Figura 7 medicazione all’argento adattabile alla dimensione della lesione

Figura 8 medicazione idrofobica in vari formati adattabili al tipo di lesione

 

Figura 9 meccanismo d’azione delle medicazioni idrofobiche

 

 

La  medicazione a base di clorexidina (BactigrassÒ S&N) è efficace verso un ampio spettro di Gram negativi e positivi, senza evidenze di resistenza crociata e rari fenomeni di sensibilizzazione. Da un punto di vista scientifico, non è mai stata dimostrata la sua efficacia nelle ulcere degli arti inferiori. Studi su animali hanno dimostrato un’inibizione della crescita del tessuto di granulazione (23).

Lo iodopovidone agisce determinando la lisi della parete batterica. Inoltre lo iodo povidone ha dimostrato di inibire i biofilm, cosa non possibile sempre con medicazioni contenenti altri antisettici, ad esempio clorexidina. L’uso dello iodio è stato per lungo tempo oggetto di controversie perché citotossico; tuttavia le formulazioni a lento rilascio oggi disponibili, come il cadexomero iodico,  non sono tossiche per il tessuto neoformato e stimolano la cicatrizzazione (24).

Il cadexomero iodico è composto da microsfere di amido, legate con ponti di etere e iodio. Lo iodio appare legato fisicamente alla matrice di gel di amido; solo quando viene a contatto con acqua o essudato, il gel si rigonfia ed una frazione dello iodio immobilizzato viene rilasciata come “iodio libero” nel mezzo circostante, in quantità tali da assicurare l’azione antibatterica senza produrre citotossicità. Il cadexomero iodico presenta una capacità di assorbimento dei fluidi molto elevata: quando viene applicato su un’ulcera, 1 g di cadexomero può infatti assorbire fino a 6 ml di acqua o fluidi. La capacità di scambi ionici è inoltre tale da promuovere l’acidità del pH, favorendo le proprietà antimicrobiche dello iodio. L’azione antibatterica è diretta su tre aree target: la membrana cellulare, gli organuli citoplasmatici e l’acido nucleico batterico. Lo iodio aggredisce inoltre i batteri danneggiando le proteine ed i lipidi di membrana attraverso un meccanismo indiretto, esplicando l’effetto battericida a livello intracellulare dopo fagocitosi. Presenta un ampio spettro d’azione, esteso anche ai Gram negativi, tanto da essere stato indicato come il trattamento di scelta nelle ulcere degli arti inferiori colonizzate da Pseudomonas aeruginosa. Inoltre lo iodo povidone ha dimostrato di inibire i biofilm, cosa non

possibile sempre con medicazioni contenenti altri antisettici, ad esempio clorexidina.

E’ scontato che l’uso di antibiotici topici sia da proscrivere perché oltre alla mancanza di attività antibatterica aumentano il rischio di resistenza agli antibiotici sistemici (25,26).

Si è detto nel capitolo del piede infetto di recenti segnalazioni positive per questa via di applicazione. Si rimanda a questo capitolo per ulteriori dettagli sull’argomento.

Una ferita infetta emana cattivo odore: la presenza di odore è disturbante nei rapporti sociali e deprimente per il paziente. L’aggiunta di carbone a medicazioni con vari tipi di antisettici può limitare il cattivo odore e questo pregio non è da sottovalutare nella scelta di una medicazione

TRAUMA RIPETUTO da ultimo ma non poco importante  il problema della deambulazione di un paziente con medicazione del piede. Della valenza eziopatogenetica dell’ipepressione si è detto nel capitolo del piede neuropatico e vi si è anche detto della terapia adatta.  Dato per scontato tutto quanto è terapia di scarico della lesione o di soluzione chirurgica della stessa, è comunque  evidente che un piede medicato anche laddove non necessiti di apparecchio di scarico  non possa stare in una scarpa normale e necessiti di un “contenitore” del piede e della medicazione (figura 10).

Figura 10  disegno che illustra l’ impossibilità di alloggiare in un scarpa normale un piede medicato

 

La maggior parte dei pazienti arriva in ambulatorio con un piede autonomamente medicato e alloggiato in contenitori altrettanto autonomamente confezionati per l’alloggiamento del piede medicato (figura 11).

Figura 11  scarpa adattata a un piede con lesione della testa del 1° metatarso e scarpa adattata a contenere una lesione dell’avampiede

E’ necessario che il paziente usi una scarpa apposita per medicazione in grado innanzitutto di contenere il piede medicato senza costrizione, ma anche di evitare traumi. E’ necessario pertanto che la scarpa sia configurata non solo per non “stringere” il piede ma anche per evitare pressioni e frizioni. L’uso di scarpe a suola rigida dotate di idonei plantari di scarico o di ammortamento sarà sinergico alla medicazione nella cura dell’ulcera (figura 12).

Figura 12 scarpa terapeutica adatta a contenere il piede medicato

 

Va ricordato che la scarpa deve rispettare anche la sede dell’ulcera. Stante la prognosi impegnativa delle lesioni calcaneari è indispensabile utilizzare scarpe che scarichino il retro piede quando la lesione è allocata in questa sede (27) (figura 13).

Figura 13  modello di calzatura per lo scarico di lesioni calcaneari

 

Per le lesioni dell’avampiede sono state molto utilizzate alcuni anni fa scarpe in talismo (figura 14).

Figura 14 scarpa terapeutica in talismo

Al di là della concettualità consona con la patologia,  la pratica clinica ha dimostrato che l’uso incongruo con passo molto lungo e inevitabile atterraggio sull’avampiede non otteneva lo scarico ottenibile in  posizione stabile eretta. Attualmente anche per lesioni d’avampiede così come di mesopiede ci si affida a scarpe con suola rigida con appositi plantari: sarà affidata al plantare la funzione di scaricare specificamente la zona ulcerata. Le figure 15 e 16 mostrano i modelli di scarpe postoperatorie delle due principali aziende produttrici di scarpe terapeutiche in Italia

Figura 15 scarpe con suola rigida per ulcere del calcagno e d’avam-mesopiede modello Optima

 

Figura 16 scarpe con suola rigida per ulcere del calcagno e d’avam-mesopiede modello Podartis

 

 

LA RIPARAZIONE TISSUTALE

 

Con il termine di riparazione tissutale s’intende una serie di eventi che inizia con il danno ad un tessuto e che culmina con la rigenerazione del tessuto stesso. Questa serie di eventi è molto complessa e vede in gioco un numero elevato sia di cellule sia di molecole. Per semplicità didattica si è soliti dividere il processo riparativo in fasi anche se in realtà non ci sono vere e proprie interruzioni tra una fase e l’altra; si verifica invece una sovrapposizione tra le varie fasi (28). Le fasi che possiamo definire sono :

–        fase essudativa o infiammatoria

–        fase proliferativa o riparativa

–        fase del rimodellamento

Qualora, per qualsiasi motivo, ci dovesse essere un impedimento nello svolgimento delle varie fasi o una di queste dovesse arrestarsi allora avremmo la cronicizzazione, cioè la mancata guarigione o il ritardo di guarigione, della lesione ulcerativa e ci troveremmo di fronte non più ad una riparazione tissutale fisiologica ma patologica.

FASE ESSUDATIVA O INFIAMMATORIA Il compito principale in  questa fase è la detersione della ferita che si è creata e il riempimento della cavità che si è prodotta (figura 17).

Figura 17 fase infiammatoria (da referenza 28)

In questa fase l’agente esterno (trauma, corpo estraneo, etc.) causa la rottura dei vasi sanguigni e lo stravaso ematico. Da subito sono le piastrine ad entrare in gioco: unendosi le une alle altre (aggregazione) esse formano il primo “tappo” che va ad occludere i vasi sanguinanti;  al tempo stesso inoltre rilasciano delle sostanze (trombossano, PAF, PDGF)  capaci di richiamare cellule specializzate nella sede della ferita. I neutrofili hanno il compito di ripulire la lesione dai corpi estranei e dai batteri; i monociti si trasformano in macrofagi attivati, che liberano PDGF (platelet-derived growth factor) e VEGF (vascular endothelial growth factor), in grado di promuovere la formazione del tessuto di granulazione. I macrofagi attivati sono responsabili della fagocitosi dei microrganismi e dei frammenti della matrice extracellulare. I monociti si trasformano anche in macrofagi riparativi, fondamentali nel passaggio dalla fase infiammatoria alla fase riparativa per la secrezione di CSF-1, TNF-alfa, PDGF, TGF-alfa, IL-1, TGF-beta, IGF-1, tutte coinvolte nella chemiotassi e nella proliferazione dei fibroblasti (29)

In questa fase c’è inoltre la trasformazione del fibrinogeno in fibrina che, funzionando come una rete, imprigiona globuli bianchi, globuli rossi, piastrine e altre cellule; questo agglomerato servirà da ulteriore “tappo” per fermare il sangue che fuoriesce dai vasi e da riempimento della cavità. La fibrina qui prodotta ha infine la funzione di “guida” delle cellule che entreranno nel vero e proprio gioco della ricostruzione del tessuto: i fibroblasti. A questo evento iniziale segue l’arrivo dei granulociti neutrofili. Questi ultimi sono chiamati nella ferita da sostanze rilasciate poco prima da altre cellule e la loro principale funzione è quella di “pulire” la lesione dai detriti, dai batteri e da eventuali corpi estranei; questa funzione si esplica anche con il rilascio di enzimi con funzione digestiva (elastasi, proteasie collagenasi). Da ultimo, sempre in questa prima fase, si assiste all’arrivo dei macrofagi, chiamati anch’essi da sostanze chemiotattiche : questa popolazione di cellule non solo porta avanti il lavoro di pulizia già iniziato dai granulociti neutrofili ma agisce sui fibroblasti liberando fattori di crescita che stimolano la riparazione tissutale; i macrofagi rilasciano altresì sostanze ad azione vasoattiva,  causando il tipico arrossamento e rigonfiamento flogistico della cute perilesionale.

FASE PROLIFERATIVA E’ la fase specifica nella quale si forma il tessuto di granulazione: il fondo della ferita si popola di “granuli rossi”  composti centralmente da vasi sanguigni da cui il color rosso e perifericamente da fibroblasti e collagene (figura 18).

Figura 18 fase proliferativa (da referenza 28)

In questa fase sono i macrofagi a dirigere le operazioni  secernendo fattori di crescita che stimolano l’angiogenesi, la proliferazione di fibrobasti e la concomitante deposizione di materiale proteico.  I fibroblasti così stimolati producono collagene e proteoglicani e in questa fase è rilevabile la migrazione dei vasi della periferia verso il centro dell’ulcera oltre che la sovrastante migrazione  dei cheratinociti con uno scorrimento degli uni sugli altri cercando di ricoprire la lesione ulcerativa una volta che si è creato un buon tessuto di granulazione sul fondo (30) (figura 19).

Figura 19  copertura del tessuto di granulazione da parte dei cheratinociti tramite scivolamento dai bordi (da referenza 30)

 

Tale processo è possibile grazie ad una trasformazione vera e propria delle cellule epidermali, che perdono le interconnessioni cellulari e con la membrana basale e producono filamenti di actina, che consentono loro la migrazione; una volta terminata la migrazione; le cellule epiteliali esprimeranno di nuovo le proteine di legame (31,32)

Queste cellule più superficiali cessano di migrare quando ricevono un segnale, determinato dal contatto fisico, che si attiva non appena le cellule di un bordo “toccano”  le cellule del bordo opposto (inibizione da contatto).

Ricapitolando  sul fondo avviene il riempimento della cavità tramite il tessuto di granulazione con direzione dalla periferia al centro e dal basso all’alto, dai bordi avviene la copertura del tessuto di granulazione tramite scivolamento dei cheratinociti.

Il nuovo connettivo è uno stroma ipervascolarizzato, ricco di fibroblasti e macrofagi. I fibroblasti stimolano la formazione della neoangiogenesi, i macrofagi producono la matrice extracellulare necessaria a supportare la migrazione e la crescita cellulare. La matrice extracellulare è ricca di fibrina, fibronectina e acido ialuronico, sostanze in grado di interagire direttamente con i fibroblasti e modulare la crescita della matrice extracellulare stessa in un processo di autoregolazione. In questa fase i fibroblasti non producono più matrice extracellulare ma iniziano a produrre collagene, fino alla formazione della cicatrice; le cellule componenti il tessuto di granulazione vanno incontro ad apoptosi (33-35).

Il processo è modulato dalla matrice extracellulare; in particolare i macrofagi e le cellule epidermali produrrebbero FGF e VEGF in risposta ad una bassa pressione tissutale di ossigeno e a concentrazioni elevate di lattato. Questi fattori di crescita stimolerebbero la produzione di attivatore del plasminogeno e procollagenasi, rapidamente trasformati in plasmina e collagenasi, che frammentano le membrane basali, permettendo così alle cellule endoteliali di migrare e formare nuovi vasi nel tessuto leso; inoltre la collagenasi è responsabile della degradazione dell’escara. Una volta che la lesione è stata completamente ricoperta da tessuto di granulazione inizia l’apoptosi dei neo-vasi, grazie alla modulazione di sostanze come la trombospondina 1 e 2, l’angiostatina, l’endostatina e l’angiopoietina 2 (36).

FASE RIPARATIVA O DEL RIMODELLAMENTO Questo momento è caratterizzato dal prevalere dei fenomeni di deposizione e differenziazione del collagene rispetto all’angiogenesi.  In questa fase infatti avremo la transizione da un tipo di collagene all’altro, la contrazione della ferita e la riorganizzazione della matrice extracellulare. Termina inoltre la riepitelizzazione ad opera dei cheratinociti con l’attivazione dell’inibizione da contatto. E’ importante sottolineare che per alcuni anni vi è una continua riorganizzazione del tessuto riparato, anche quando la lesione obiettivamente appare totalmente guarita (riorganizzazione delle fibrille e degli agglomerati di collagene e contrazione della matrice extracellulare).

 

LE MEDICAZIONI

 

Per ottenere tutto questo ci si chiede cosa si debba fare, e cioè come e con cosa dobbiamo medicare una ferita sterile ben vascolarizzata. Se teoricamente una ferita di questo tipo guarisce spontaneamente,  utilizzare  presidi che conducano nel più breve tempo possibile alla restitutio ad intregrum et ad functionem e proteggano la ferita certamente risulta vantaggioso. E infatti la ricerca di questi presidi ha origini antichissime: già nel 1500 ac i medici Egizi usavano medicare con bende di lino e grasso di capra. Medici greci e romani usavano impiastri a base di catrame e bende imbevute di aceto alla ricerca evidente di una antisepsi oggi ottenuta con gli antisettici.  Ippocrate aveva dato istruzioni precise in base allo stadio della ferita (figura 20)

Figura 20 testo di Ippocrate di Cos, 460 ac

 

Galeno di Pergamo  (129 dc) ne aveva seguito poi le orme ma con accentuata attenzione alla chirurgia (figura 21)

Figura 21 Galeno con alcuni strumenti chirurgici di epoca romana e raffigurazione di intervento chirurgico sulla coscia

 

I medici arabi nel secolo X avevano già capito l’importanza dell’argento nella antisepsi e usavano abbondantemente la causticazione. Nel secolo XIII Teodorico Da Borgognoni aveva stressato l’importanza di impedire l’infezione e consigliava lavaggi con vino tiepido.

Guy De Chauliac per primo ha indicato la necessità di rimuovere i tessuti necrotici e Ambroise Pare’ nel XVII deprecava la causticazione nelle ferite pulite e proponeva impacchi con albume. Ma è solo nel XIX secolo che grazie a Pasteur, Lister, Virchow si pone l’attenzione sull’antisepsi e nella guerra di secessione americana vengono utilizzate preparazioni a base di iodio e zucchero (usate anche oggi ?). Comunque nel frattempo molte sostanza sia vegetali che minerali sono state usate nelle medicazioni delle ferite:

SOSTANZE VEGETALI:

–        aceto: usato dai greci per detergere ferite; acido acetico: potente antisettico

–        aloe: azione lenitiva e battericida; ancora in uso

–        balsamo del perù: miscela di resina ed oli esssenziali usato come antisettico; contiene acido benzoico e cinnamico

–        belladonna: contiene alcaloidi: attività analgesica ed antispastica; usata ancora oggi, malgrado la sua tossicità

–        birra: usata già dai medici babilonesi, contiene lieviti e prodotti dell’ossidazione:potere antisettico

–        calendula: contiene antisettici carotenoidi utili per l granulazione e  mucillagini simili ad alghe con alto potere adsorbente

–        digitale: glucosidi cardioattivi con azione cicatrizzante e acidi grassi ed acidi organici a funzioni antisettiche: usato come favorente della rieptelizazione

–        miele: usato dagli egiziani per proprietà antibatteriche:per le sue proprietà osmotiche sottrae acqua alle cellule microbiche provocandone la morte

–        vino: fenolo con azione battericida e antociani con potere antisettico

SOSTANZE MINERALI:

–        argento: antisettico a largo uso

–        iodio: antisettico ancora usato oggi

–        sale: cloruro di sodio utilizzato in concentrazoni non elevate: effetto antisettico e disidratante

 

Si deve aspettare il 1850 perchè Joseph Gamgee intuisca l’importanza della protezione della ferita e indichi nell’ovatta il materiale più adatto in quanto assorbente e a bassa aderenza. Tuttavia l’ovatta o anche garze in cotone messe a diretto contatto con la cute lesionale assicurano sì la protezione della lesione e l’assorbimento dell’eccesso di essudato ma aderendo tenacemente  al letto dell’ulcera provocano una inevitabile  conseguente rimozione di parte del tessuto di granulazione al momento della sostituzione della medicazione. Una medicazione adesa provoca anche dolore alla rimozione e possibile sanguinamento

Si deve però aspettare fino al 1971 quando uno zoologo -­ George Winter – mette in risalto l’utilità di una medicazione umida sui processi riparativi di una ferita cutanea (37) (figura 22).

Figura 22 G. D. Winter e una delle sue pubblicazioni sull’influenza della medicazione sulla guarigione delle ferite

 

Si deve a Winter la comparazione tra la metodica di guarigione tradizionale in cui la ferita era lasciata seccare all’aria e il trattamento innovativo con copertura della lesione con pellicola di materiale occlusivo (polietilene): in questa comparazione dimostrò che l’ambiente umido velocizzava la riepitelizzazione (38,39).

Una medicazione tradizionale basata sulla copertura con garza in cotone ha lo scopo benefico di proteggere la lesione dai traumi e di assorbire l’essudato. Ha però numerosi limiti, evidenti (figura 23): scarsa assorbenza con necessità di cambi frequenti e adesione alla ferita. Questa adesività provoca inevitabilmente al momento della sostituzione della medicazione rimozione di parte del tessuto di granulazione e un possibile sanguinamento. Può provocare anche dolorabilità, pur considerando l’insensibilità di molto pazienti diabetici.

Figura 23 rimozione di garza cotonata a contatto con la ferita

 

Già alla fine del secolo diciannovesimo con gli studi di sir Randolph May sulle proprietà dell’essudato delle ulcere e sulla efficacia della pellicola poliuretanica si tentava di trovare medicazioni che interagissero con la lesione ulcerativa con lo scopo di creare un ambiente idoneo all’accelerazione del processo di riparazione tissutale con lo scopo di:

  • ottenere una adesione selettiva alla cute perilesionale, ma non al letto della lesione
  • creare un ambiente umido al di sotto della medicazione
  • rendere possibile lo scambio gassoso verso l’esterno prevenendo la macerazione dei tessuti
  • sfruttare  le proprietà dell’essudato a vantaggio della guarigione

Le differenze essenziali che si ricercavano in una medicazione ottimale rispetto a una medicazione tradizionale  sono elencate in comparazione nella tabella 2.

Tabella 2 effetti di una medicazione tradizionale e di una medicazione ottimale

 

    MEDICAZIONI TRADIZIONALI     MEDICAZIONI OTTIMALE
 guarigione fisiologica  guarigione in ambiente umido
 assorbimento dell’essudato  gestione dell’essudato
 adesione al letto di lesione  non adesione alla lesione
 rimozione dolorosa  rimozione atraumatica
  barriera meccanica   impermeabilità a liquidi e batteri
 copertura della lesione  regolazione termica della  lesione
 necessità di cambi frequenti  permanenza in sede per più giorni

 

Attualmente vengono chiamate medicazioni avanzate medicazioni che hanno o dovrebbero avere le caratteristiche di una medicazione ottimale (figura 24).

Figura 24 rappresentazione schematica della differenza strutturale di una ferita con medicazione occlusiva umida e di una ferita lasciata all’aria (da referenza 30)

 

Essenziale è la capacità di una medicazione avanzata di mantenere un ambiente umido alla ferita (figura 25).

Figura 25 schema di medicazione impermeabile all’acqua ma permeabile al vapor acqueo

 

Anche il mantenimento di una temperatura costante è una caratteristica rilevante nel favorire la guarigione di una ferita (figura 26).

Figura 26 influenza sulla mitosi del controllo della temperatura dell’ulcera in medicazione tradizionale e avanzata

 

L’essudato è ricco di nutrienti, proteine, elettroliti, metaboliti e ha più elevati livelli di anticorpi rispetto al sangue. L’effetto barriera di una medicazione ottimale impedisce l’ingresso ai batteri e mantiene in situ le sostanze utili alla riparazione tissutale (figura 276)

Figura 27 schema di medicazione permeabile ai gas ma non ai batteri

 

In tutti questi anni abbiamo visto produrre dall’industria una gran numero di medicazioni ognuna spesso pubblicizzata come la panacea di ogni ulcera (figura 28).

Figura 28 elenco verosimilmente non completo delle medicazioni avanzate disponibili sul mercato

I carrelli di medicazione di ogni ambulatorio del piede diabetico sembrano ormai delle bancarelle con una vasta offerta (figura 29)

Figura 29 carrello di medicazione con vari prodotti medicativi

 

In presenza di un vasto assortimento di medicazioni, è assolutamente fondamentale ricordare con enfasi, in accordo con Winter, che “… non esiste una singola medicazione adatta a tutte le ferite né tantomeno a tutte le fasi di una stessa ferita”
Conseguentemente con questo assunto dovremo occuparci dell’ulcera e valutare la medicazione acconcia a quella ferita in quello stadio.

 

COME E CON CHE COSA MEDICARE ?

 

Le ulcere del piede diabetico si comportano come ulcere croniche, “bloccate” in una determinata fase del processo riparativo, a causa di un prolungamento della fase di infiammazione, di una ridotta neoangiogenesi, di una ridotta sintesi di collagene, di aumentati livelli di proteinasi e della compromissione della funzionalità macrofagica (40,41).

Dopo aver adeguatamente trattato l’infezione, rivascolarizzato se presente ischemia critica e corretto eventuali ipercarichi, occorre rendere “acuta” una lesione “cronica” con la terapia locale più opportuna. Rendere acuta una lesione cronica significa eliminare da quella ferita tutto quello che non è vitale e impedisce alla ferita di virare verso la guarigione fisiologica. La figura 30 mostra ulcere superficiali con parziale  presenza di fibrina facilmente rimovibile con curettage.

Figura 30 ulcere superficiali con parziale copertura di fibrina

L’esempio riportato nella figura 31 un quadro più complesso: lo strato di fibrina adeso al letto della ferita è diffuso a tutta la superficie ulcerata e impedisce di emergere al normale tessuto di granulazione e la successiva riepitelizzazione.  La rimozione della fibrina con curettage profondo in fasi successive permette al tessuto di granulazione di riemergere e questo permetterà la ripresa del fisiologico meccanismo di riparazione tissutale.

Figura 31 ulcera ricoperta di fibrina e ricomparsa di ottimo tessuto di granulazione dopo rimozione della fibrina con curettage

 

La formazione di un letto di ferita “sano” rappresenta un prerequisito essenziale per l’impiego di ogni prodotto attualmente disponibile per il trattamento delle ulcere. Se questa regola non viene rispettata, anche il prodotto più sofisticato e costoso per la riparazione cutanea non sarà in grado di svolgere la prevista azione terapeutica.

Localmente vari fattori possono cronicizzare una lesione ulcerativa acuta (42):

–        presenza di tessuto necrotico

–        infezione

–        presenza di essudato

–        compromissione delle cellule epidermali dei margini della lesione

Sulla base dei lavori dell’International Wound Bed Preparation Advisory Board (43) è stato coniato l’acronimo TIME (44), utilizzando i nomi inglesi dei componenti da considerare (tabella 3).

Tabella 3 classificazione delle caratteristiche clinico-semeiologiche delle ulcere

 

 

 

Successivamente l’EWMA Wound Bed Preparation Editorial Advisory Board ha ulteriormente implementato la suddetta classificazione, utilizzandola in maniera non lineare, ossia come rivalutazione frequente dell’efficacia degli interventi terapeutici da parte degli operatori durante la pratica clinica.

T: tessuto non vitale L’accumulo di tessuti non vitali (batteri, cellule desquamate, fibrina, detriti)  possono soffocare la crescita di tessuto sano: l’eliminazione con uno

sbrigliamento i questo materiale che grava sul tessuto vitale consente di creare un ambiente che permette la guarigione. Il curettage trasforma quindi una ulcera cronica in una ulcera “acuta” (45) (figura 32).

Figura 32 debridement di bordi cheratosici e di fondo parzialmente coperto da escara: sono stati ottenuti bordi rosei e fondo granuleggiante

 

Del debridement chirurgico si è già parlato nel capitolo dedicato alla chirurgia. In realtà non esistono ad oggi ancora evidenze forti a dimostrazione dell’efficacia dello sharp debridement, al di là della pratica clinica legata all’esperienza degli operatori (46).

Lo sbrigliamento chirurgico deve essere però condotto da personale esperto e preparato, con una buona conoscenza dell’anatomia e del tessuto vitale, con capacità di gestire il sanguinamento ed il dolore, prima, durante e dopo la procedura, qualora necessario. Nel caso in cui tali competenze siano carenti o non vi sia un ambiente idoneo si deve ricorrere a centri che dispongono di idonee atterzzature.

La figura 33 mostra un buon esempio di debridement eseguito con curetta affilata con rimozione ottimale dell’ipercheratosi dei bordi e del tessuto fibrotico sul fondo senza sanguinamento

Figura 33 rimozione di ipercheratosi dei bordi e di tessuto fibrotico sul fondo con curetta

 

La figura 34 mostra un debridement dei bordi di un’ulcera plantare che ha provocato un discreto sanguinamento che ha necessitato di cauterizzazione

Figura 34 ulcera con margini cauterizzati per sanguinamento da debridement chirurgico dei margini ipercheratosici

 

 

Per debridement meccanico si intende il vigoroso strofinamento con garza della superficie dell’ulcera descritto all’epoca da Trueta in una pubblicazione sul trattamento delle ferite valida per molti versi anche oggi (47): debridement certamente efficace nel rimuovere detriti ma anche grossolano nell’effetto.

Attualmente vi sono strumenti che effettuano un debridement meccanico di qui il più noto è il Versajet®, per cui comunque non si sono osservati benefici in termini di guarigione a 12 mesi nell’unico lavoro pubblicato (48)

Anche strumenti che utilizzano ultrasuoni sembrano efficaci nella pratica clinica, ma evidenze scientifiche sono carenti. Si rimanda al capitolo sulla chirurgia per ulteriori dettagli sia per l’uno che per l’altro strumento.

Il debridement enzimatico utilizza agenti chimici topici, come la collagenasi batterica (estratta dal Clostridium Hystoliticum), la fibrinolisina/ deossiribonucleasi, la papaina/ urea per distruggere il tessuto necrotico e i filamenti di collagene, che legano il tessuto devitalizzato al fondo lesionale. Evidenze esistono solo per l’utilizzo di collagenasi (49-51).

Può essere utile nello sbrigliamento di escare di ampie lesioni, non provoca dolore e presenta una facilità di applicazione nella gestione domiciliare delle lesioni, meglio se in associazione con il debridement chirurgico; tuttavia produce un eccesso di essudato con conseguente macerazione dei bordi lesionali che può essere pericoloso se l’uso è affidato a personale poco avvezzo al trattamento di ulcera cutanee (tabella 4).

Nella nostra pratica clinica è molto poco usata.

Tabella 4 prodotti industriali con collagenasi

Prodotti – Enzimi
Bionect Start        (collagenasi/ac.ialuronico) FIDIA
Noruxol               (collagenasi) S&N
Iruxol(collagenasi/cloramfenicolo) S&N

 

Il debridement autolitico consiste nell’amplificare il meccanismo fisiologico di sbrigliamento e colliquazione eseguito dai macrofagi stessi e dagli enzimi proteolitici presenti nel tessuto lesionale, mediante la creazione di un ambiente umido con l’utilizzo di medicazioni come gli hydrogel/Idrocolloidi (52)

Medicazioni a base di idrocolloidi (tabella 5) amplificano il meccanismo fisiologico di sbrigliamento e colliquazione eseguito dai macrofagi stessi e dagli enzimi proteolitici presenti nel tessuto lesionale: sono quindi indicati nella detersione autolitica per ulcere con essudato scarso o moderato. Sono invece sconsigliabili nelle lesioni molto essudanti o circondate da cute fragile. Sono medicazioni semioccludenti costituite da sostanze come la gelatina, la pectina e la carbossimetilcellulosa. La composizione dello strato di medicazione che va a contatto con la lesione può variare considerevolmente. Sono considerati medicazioni occlusive ma in realtà hanno una minima permeabilità grazie al film esterno in poliuretano che permette uno scambio gassoso con l’esterno.

Non esistono al momento evidenze che dimostrino benefici nell’uso di queste medicazioni nel piede diabetico e i lavori esistenti sono molto datati  (53,54).

Tabella 5 prodotti industriali a base di idrocolloidi

Prodotti – Idrocolloidi
Askina BBraun
Duoderm Convatec
Nuderm J&J
Contreet Coloplast
Suprasorb H Lohmann&Rauscher
Cellosorb Lite Urgomedical

 

Gli idrogel (tabella 6) sono gel amorfi a base di acqua (più del 40%) insieme a polimeri e copolimeri idrofili di diversa natura (polivinilpirrolidone, poliacrilamide, polietilene ossido) Sono associati con  un agente gelificante (amido o carbossilmetilcellulosa) ed un agente umettante con funzione di conservante (glicolpropilenico).  Si presentano come gel amorfo o garze imbevute oppure sottoforma di medicazioni in compressa. Il gel amorfo diminuisce la sua viscosita con il tempo di permanenza in sede sino a liquefarsi (rinnovo frequente, ogni 24-72 h). A causa dell’elevata presenza di acqua non riescono ad assorbire grandi quantità di essudato. L’autolisi è un processo lungo, che si osserva almeno in 72-96 ore a seconda della medicazione utilizzata e che può provocare la macerazione del bordo perilesionale con conseguente aumento delle dimensioni dell’ulcera. Esistono in commercio idrogeli con percentuali diverse di carbossimetilcellulosa e/o alginati che permettono al prodotto di assorbire un minimo quantitativo di essudato. Gli hydrogel/Idrocolloidiaumentano il tasso di guarigione rispetto al trattamento con garza semplice ma non possono essere utilizzati laddove sussista un qualche grado di ischemia, infezione o eccessiva essudazione (55).

La presenza di elevate quantità di acqua permette l’idratazione della lesione rendendoli particolarmente indicati nella gestione di ferite secche con escara, tuttavia hanno scarse proprietà antibatteriche.

Questo tipo di medicazioni ha costi elevati se si considera che necessitano anche di una medicazione secondaria (garze, schiume o film di poliuretano).

Tabella 6 prodotti industriali a base di idrogeli

Prodotti – Idrogel
Curafil Covidien
Cutimed gel BSN
Duoderm idrogel Convatec
Hydrosorb Hartmann
Hypergel Molnlycke
Intrasite Conformable S&N
Comfeel Purilon gel Coloplast
Suprasorb G Lohmann&Rauscher
Nugel J&J

 

Un altro esempio di debridement meccanico è dato dall’utilizzo di larve (bio-debridement) (56-59). Questo metodo si basa sulla digestione da parte delle stesse larve del tessuto necrotico, sulla conseguente riduzione meccanica della carica batterica e sulla produzione di ammonio, che, aumentando il pH all’interno della lesione, inibisce la crescita batterica (figura 35).

Figura 35  contenitore di larve (A) applicazione sulla ferita (B) copertura con tulle C) medicazione secondaria con tessuto-nontessuto (D) (da referenza 56)

 

Le controindicazioni riguardano la presenza di fistole, di vasi esposti e di tessuto necrotico in rapida evoluzione. Non vi sono comunque evidenze in termini di guarigione o di riduzione delle amputazioni nell’utilizzo di tale metodo. Uno studio ha comparato il debridement con larve rispetto all’uso di hydrogel, senza significative evidenze in termini di guarigione ma con una più elevata riduzione dell’area della lesione sopra il 50% (60).

Altri studi hanno evidenziato risultati più lusinghieri (61-64). I costi sono elevati e le larve non sono disponibili in ogni paese. Anche in Italia non sono disponibili

I: infezione Le ferite croniche sono frequentemente colonizzate da microrganismi a causa della lunga esposizione dei tessuti profondi all’ambiente esterno e della presenza di ipossia. Non sempre la presenza di batteri deve essere contrastata con una terapia antibiotica ma una carica batterica >106 organismi per grammo di tessuto limita seriamente la guarigione (65). Dati sperimentali indicano come, indipendentemente dal tipo di organismo, un effetto negativo sulla cicatrizzazione si verifichi quando sia presente nel letto dell’ulcera un numero di batteri compreso fra 105 e 106 organismi per grammo, anche se altri studi hanno evidenziato come molte ulcere croniche con una carica batterica superiore a 105 guariscano spontaneamente (66,67).

Si ritiene quindi che il numero di microrganismi all’interno di un’ulcera non rivesta la stessa importanza che hanno invece il tipo e la patogenicità: per esempio, anche un basso numero di streptococchi può comportare problemi importanti, mentre anche un alto numero di staficocchi epidermidis può non provocare una infezione clinicamente evidente. Al di là della virulenza del patogeno, la presenza stessa di una elevata carica batterica, associata o meno ad infezione conclamata, ha spesso come conseguenza un aumento dell’essudato, la cui rimozione riduce la quantità di tessuto favorevole alla progressione dell’infezione.

Falanga nel 2000 ha suggerito come la presenza di strati di materiale aderente al letto dell’ulcera, definiti “biofilm”, rappresenti un altro fattore importante nella evoluzione dell’infezione (68-70). I biofilm sono foci protetti di infezione e di resistenza batterica all’interno dell’ulcera, che proteggono i batteri dall’effetto degli agenti antimicrobici, antibiotici ed antisettici (71) (figura 36).

Figura 36 tempo necessario alla formazione di biofilm su stafilococco aureo (da referenza 72)

Recentemente è stato evidenziato un crescente interesse per la possibile correlazione tra presenza di biofilm nelle ferite croniche e la loro mancata guarigione o più spesso con la loro riacutizzazione.

Data l’elevata presenza di antibiotico-resistenza, è essenziale riservare la terapia antibiotica ai casi di assoluta necessità e in maniera mirata, conoscendo l’epidemiologia dei ceppi batterici nella propria popolazione e supportati da un esame microbiologico.

Il Prontosan è  un detergente a base di  betaina e  poliesanide in grado di determinare una disorganizzazione della struttura del biofilm consentendone la rimozione, senza alterare in alcun modo la cute perilesionale (pH neutro) (73,74).

Da secoli sono note anche le proprietà antimicrobiche ad ampio spettro dell’argento, di cui si è già accennato in precedenza.  I prodotti all’argento hanno due vantaggi fondamentali: sono antisettici a largo spettro e non sono ancora stati associati a resistenza batterica. Clinicamente, l’argento metallico è relativamente inerte ma la sua interazione con l’umidità della superficie cutanea e con i fluidi della lesione porta al rilascio di ioni argento con proprietà antibatteriche. Gli ioni argento si legano a proteine presenti nei tessuti, causando cambiamenti strutturali alla parete cellulare ed intracellulare e nelle membrane nucleari dei batteri stessi. L’argento si lega al DNA ed all’RNA dei batteri, inibendone la moltiplicazione. Negli anni sono stati sviluppati diversi sistemi medicali per il trasporto dell’argento (Argento Colloidale, AgNO3, SSD-Silver Sulphadiazine). Il limite maggiore di questi sistemi è di portare in sede di lesione grandi quantitativi di argento in brevi periodi. Lo sviluppo di nuovi sistemi di rilascio di una particolare formulazione dell’argento in nano cristalli (ActicoatÒ S&N) permette oggi di ottenere un lento rilascio di ioni di argento sul letto della lesione, con MIC e MBC più basse di altre formulazioni dell’argento, tali da garantire un’efficace barriera batterica per almeno da 3 a 7 giorni sia contro Gram+, Gram-, sia contro i patogeni resistenti agli antibiotici quali Pseudomonas, MRSA e VRE, che contro i Miceti (75,76).

Una revisione della letteratura esistente sull’utilizzo dell’argento nelle ulcere del piede diabetico non ha riscontrato alcun RCT o trial clinici controllati al riguardo, né sul trattamento dell’infezione nelle ulcere di varia natura, né sulla prevenzione dell’infezione delle ulcere in genere (77-79).

Ad oggi l’argento è utilizzato prevalentemente come adiuvante in medicazioni che svolgono un’azione peculiare su altre caratteristiche del processo riparativo (idrocolloidi all’argento, idrofibre all’argento, ecc.) (80,81).

La figura 37 mostra l’applicazione di una medicazione a base di alginato e argento

Figura 37 applicazione di medicazione a base di alginato con argento

 

La figura 38  mostra una medicazione a base di idrofibra, argento ionico   (Aquacel AG surgical) usata nel post chirurgico per le proprietà assorbenti e antimicrobiche e per la flessibilità che permette l’applicazione su ferite non lineari e la rimovibilità traumatica.

Figura 38 ferita da amputazione trans metatarsale in paziente con rivascolarizzazione parziale

La figura 39 mostra la medicazione applicata sulla ferita e l’esito alla rimozione dopo 7 giorni

Figura 39  medicazione applicata sulla ferita e l’esito alla rimozione dopo 7 giorni

 

M: macerazione Contrariamente all’opinione generale, il mantenere umida la ferita non aumenta la quota di infezioni (82-84). Inoltre l’umidità ottimale fornisce un mezzo acquoso ricco di numerose sostanze, che favoriscono la crescita e la migrazione cellulare. L’ambiente all’interno della medicazione protegge inoltre dai traumi e dal rischio di infezioni dall’esterno. Il bilancio dei fluidi consiste nell’evitare la disidratazione cutanea che rallenta la migrazione delle cellule epiteliali e nell’evitare altresì l’eccesso di liquidi, responsabile della macerazione dei margini della lesione. L’essudato presente nelle ferite croniche differisce da quello delle ferite acute perchè contiene metalloproteinasi in eccesso che bloccano la proliferazione cellulare e l’angiogenesi e che degradano le proteine della matrice extracellulare, come la fibronectina. Inoltre sembra anche che l’eccesso di essudato costantemente presente intrappoli i fattori di crescita, rendendoli non più disponibili per il tessuto in riparazione.

È comunque evidente che un’idratazione eccessiva può macerare la cute perilesionale e ridurre la sua efficacia come barriera batterica.

Secondo i principi del TIME, la scelta di un tipo di medicazione in un determinato stadio del processo di guarigione dell’ulcera influenza anche le fasi più avanzate del processo di cicatrizzazione (85).

Le principali medicazioni per il corretto bilancio dei fluidi sono:

Schiume: sono medicazioni costituite da polimeri in soluzione trasformati in schiuma mediante un processo industriale che crea una matrice con celle in grado di assorbire i fluidi  (figura 40) (tabella 7).

Figura 40 schiuma in poliuretano con ingrandimento della struttura che evidenzia le celle

 

 

Tabella 7 prodotti industriali a base di poliuretano

Prodotti – Schiume di poliuretano
Allevyn S&N
Askina BBraun
Cutimed Siltec BSN
Mepilex Molnlycke

 

Sono permeabili all’aria ed al vapore acqueo pur essendo resistenti dall’esterno all’acqua e ai batteri. Caratteristiche proprie di ogni schiuma:

  • impermeabilità
  • spessore
  • caratteristiche dell’adesivo

In commercio si presentano in formati adesivi e non, abbinati ad argento, idrocolloidi, alginati o a carbone attivo per eliminare l’odore. Una recente review ha valutato il loro utilizzo nelle ulcere del piede diabetico non dimostrando nessuna efficacia rispetto alle medicazioni tradizionali o ad altre medicazioni avanzate (alginati) nella guarigione delle lesioni (86).

Possono essere dotate di un film superiore di copertura che conferisca alla medicazione impermeabilità ai liquidi e batteri; possono avere un adesivo idrofilico nella porzione a contatto con la lesione per evitare l’impiego di medicazioni secondarie per il fissaggio

Da notare anche la grande disponibilità di medicazioni conformate per le diverse zone anatomiche, preparate anche per medicazione del tallone, sede di difficile applicazione di medicazioni non specificamente preparate (figura 41) (87)

Figura 41 medicazione di poliuretano predisposta per l’allocazione al tallone

 

È riconosciuta comunque la loro importanza nella gestione dell’essudato, in particolare nella gestione delle lesioni a media/elevata secrezione.

Idrofibre: medicazioni composte da soffici fibre idrocolloidali (carbossi metil cellulosa sodica) (tabella 8), che grazie alla particolare struttura, trattengono l’essudato all’interno delle idrofibre impedendone la propagazione laterale, riducendo il rischio di macerazione della cute perilesionale. La medicazione interagisce con l’essudato della ferita formando un soffice gel che contribuisce a mantenere umido l’ambiente della ferita. Sono disponibili anche impregnate di argento ionico. L’utilizzo delle idrofibre all’argento nelle ulcere diabetiche è stato oggetto di uno studio di comparazione con la garza sterile, dimostrando un tempo di guarigione significativamente più corto per i pazienti trattati con idrofibre. Inoltre Jude e colleghi in un trial prospettico, randomizzato e controllato in confronto all’utilizzo di alginati, hanno dimostrato stessi tempi di guarigione ma con una maggiore riduzione della profondità dell’ulcera nel primo gruppo (figura 42) (88,89).

Figura 42 medicazione con idrofibra di lesione cavitaria postchirurgica

 

Tabella 8 prodotti industriali a base di idrofibre

Prodotti – Idrofibre
Aquacell Convatec
Silvercel (mix di alginato, carbossimetilcellulosa  e fibre di nylon rivestite in argento) Systagenic

 

Alginati: medicazioni a base di sali di calcio e/o sodio dell’acido alginico derivato dalle alghe marine (tabella 9). La differente composizione percentuale in acido glucuronico e acido mannuronico produce diverse tipologie di alginati. Sono costituiti da morbide fibre non tessute di sali dell’acido alginico legati da ioni di calcio/sodio. Sono altamente assorbenti, fino a 20 volte il loro peso. Danno origine ad un gel che ne rende particolarmente atraumatica la rimozione. Sono indicati soprattutto per lesioni ipersecernenti e per le lesioni emorragiche. Hanno un elevato potere emostatico conferitogli dall’alginato di calcio che li rende adatti nella medicazione di lesioni emorragiche (90). Un lavoro non recente e sponsorizzato dalla ditta produttrice ne aveva magnificato l’efficacia nella formulazione con collagene (91).

Tabella 9 prodotti industriali a base di alginati

Prodotti – Alginati
Askina BBraun
Kaltostat Convatec
Melgisorb Molnlycke

 

Poliacrilati: hanno forma di cuscinetti pluristratificati superassorbenti (tabella 10).

Tabella 10 prodotto industriale a base di policrilato

Prodotti – Poliacrilati
Cutisorb Ultra BSN

 

E’ da ricordare, che per quanto sia indicato per ogni medicazione un tempo standard di frequenza di cambio, la quantità di essudato è il parametro migliore per stabilire i tempi e i modi di rinnovo.

E : MARGINI EPITELIALI Nelle ulcere croniche i margini epiteliali presentano modificazioni fenotipiche che ostacolano il processo di riparazione. Biopsie del bordo di ulcere del piede in soggetti diabetici e non diabetici hanno evidenziato un aumento dell’espressione del TGF β-3 ed un mancato aumento dell’espressione di TGF β-1 nell’epitelio, con conseguente ritardo della guarigione (92).

La mancanza di espressione del fattore di crescita insulinico (IGF) 1 nella cute e nelle ulcere dei piedi di pazienti diabetici, oltre che nei fibroblasti del derma, può spiegare l’invecchiamento precoce dei fibroblasti e la loro mancata risposta ai fattori di crescita (93).

Nelle ulcere diabetiche, il primo step per migliorare la vitalità del bordo, consiste nella pulizia delle ipercheratosi e dell’essudato secco, oltre che nel debridement del letto di lesione, rimuovendo in tal modo le potenziali barriere fisiche che impediscono la proliferazione e la migrazione epiteliale nel letto dell’ulcera (figura 43)

I margini epiteliali non devono però essere eccessivamente traumatizzati durante la pulizia, per evitare il cosiddetto “die-back”, ossia la necrosi del bordo della lesione, più frequente nei pazienti con severa neuropatia o insufficienza renale allo stadio terminale.

Figura 43  debridement chirurgico dei margini e del fondo con ottimo risultato sui margini e sul fondo e senza sanguinamento

 

Per la protezione dei margini e del fondo in ulcere granuleggianti trovano indicazione medicazioni idratanti: l’archetipo della medicazione idratante è la garza vaselinata, la famosa “garza grassa” (figura 44).

Figura 44 applicazione di garza grassa

 

Lo svantaggio della garza grassa è che si disidrata abbastanza rapidamente e perde il suo potere idratante in al massimo 48 ore. Medicazioni cosiddette non AD garantiscono una idratazione della ferita per almeno una settimana consentendo un cambi della medicazione molto più intervallato. Il vantaggio sembra banale, ma si ricorda quanto detto sul raffreddamento della ferita. E’ su questa base che è stato coniata l’affermazione che condividiamo: “perchè disturbare la ferita ?” (figura 44)

Figura 44 medicazione non Ad (mepitel) applicata su una ferita discretamente granuleggiante

 

 

 

 

LE PROSPETTIVE

 

La ricerca nel campo del trattamento medicativo delle lesioni ulcerose è molto attiva: in special modo è attiva la ricerca di nuovi prodotti e tecnologie innovative basate su materiali di derivazione biologica per il trattamento delle ulcere diabetiche.

Attualmente alcuni studi hanno riportato esiti favorevoli con l’uso di stimolazione elettrica o con ultrasuoni (94,95)

Nonostante sforzi importanti si siano recentemente fatti per sviluppare linee-guida per la cura del piede diabetico, la qualità delle evidenze scientifiche rimane molto bassa perchè la stragrande maggioranza degli studi sono osservazionali, retrospettivi, senza controlli, di bassa numerosità. I clinical trial sono molto rari. Vi è un numero rilevante di ragioni che giustificano questo fatto: i più rilevanti ed evidenti sono la variabilità  e la complessità sia delle ulcere che dei pazienti che rendono molto difficile la omogeneizzazione delle popolazioni da studiare.

La conseguenza è che il management di questi pazienti è basato per la maggior parte su opinioni e convinzioni, e in parte anche da fattori economici legati ai rimborsi da parte del SSN.

Stante la paucità di studi randomizzati ed essendo poi quei pochi disponibili spesso condotti su piccoli numeri, risulta essere indispensabile nel momento in cui si vuol verificare l’efficacia di un qualsiasi presidio sulla capacità di velocizzare la cicatrizzazione, approntare un clinical trial accuratamente predisposto per metodologia e potenza per poter ottenere risultati inoppugnabili dal punto di vista scientifico e anche per una accurata valutazione del costo-beneficio.

Negli ultimi anni vi sono stati  una serie di relazioni che  hanno valutato il rapporto costo-beneficio di diversi nuovi prodotti  tecnologi utilizzati per il trattamento locale delle ulcere nel piede diabetico. Spesso molti di questi prodotti sono molto più costosi rispetto al trattamento standard basato sull’uso di garza grassa. Il loro costo può essere sopportato solo se garantisce una più efficace e rapida guarigione con una minore probabilità di amputazione.

Vi sono abbondanti prove che indicano l’importanza di diversi fattori di crescita nel processo di riparazione tessutale: alterazioni nell’espressione di fattori di crescita e nella biologia cellulare sono stati evidenziati nelle ulcere croniche dei diabetici. Modifiche sono state anche messe in evidenza nella percentuale relativa di alcuni enzimi collegati ai processi di guarigione come le metalloproteinasi della matrice (MMPs) e i loro inibitori tessutali (TIMPs) presenti nel fluido dei tessuti. I neutrofili ed i macrofagi hanno una funzionalità ridotta in corso di iperglicemia e anche questo potrebbe avere un impatto negativo sulla efficacia del processo di riparazione.

Sulla base di queste osservazioni, ci sono stati una serie di tentativi per stabilire se la guarigione può essere migliorata con la somministrazione di agenti che influenzano tali alterazioni biologiche della ferita.

Una revisione critica effettuata dall’International Working Group on the Diabetic Foot nel 2007 ha identificato 107 studi sull’argomento e ne ha giudicati solo 15 come adatti a una valutazione critica dei risultati, ma non esenti comunque da critiche (96).

acido ialuronico: tessuto non tessuto composto dall’estere dell’acido ialuronico con struttura tridimensionale. L’acido ialuronico favorisce la migrazione cellulare, legando molta acqua e quindi rendendo meno viscoso il mezzo, e favorisce la deposizione ordinata di collagene e la neoangiogenesi, rispettivamente legandosi a recettori specifici su fibroblasti e cellule endoteliali. Si può utilizzare su lesioni deterse e a bassa essudazione (97-99)

derivati piastrinici (concentrati piastrinici, PDGF, becaplermin): concentrati piastrinici  o estratti da concentrati piastrinici contenenti fattori vari di crescita sono stati molto utilizzati nella pratica clinica anche nella cura di ulcere del piede diabetico, ma i risultati riportati in letteratura non sono stati brillanti. Estrapolando dall’ analisi sopra riportata dell’International Working Group on the Diabetic Foot i dati riguardanti l’uso di piastrine o derivati piastrinici sono stati considerati degni di attenzione in soli 7 studi, anch’essi tuttavia ampiamente criticati. Alcuni studi randomizzati di piccole dimensioni hanno riportato risultati contrastanti. Lo studio di Margolis ha riportato una significativa efficacia sulla riduzione della superficie dell’ulcera ma è uno studio retrospettivo con modalità di trattamento differenti. Allo stato attuale non esistono evidenze di beneficio sull’uso di questi prodotti (100-109).

cute bioingegnerizzata durante tutto il corso degli anni 90 sono stati sperimentati colture di derma, di fibroblasti e cheratinociti in applicazione singola o associata. Gli studi su questa metodica che è stata battezzata cute bioingegnerizzata non sono stati numerosissimi ma di indubbia qualità (110-117).

Una recente metanalisi ha concluso che vi è un beneficio dall’uso di cute ingegnerizzata in quanto è efficace anche nel diminuire il rischio di superinfezione (118)

Vi è da notare  che  tutti questi equivalenti dermici o epidermici, utilizzati in ulcere superficiali, hanno mostrato una percentuale di guarigione dei gruppi di controllo spesso molto bassa: ad esempio nello studio di Marston, conclusivo sulla efficacia di dermagraft, la percentuale di guarigione alle classiche 12 settimane nel gruppo di controllo fu solo del 18% e anche la percentuale del gruppo trattato fu anch’essa bassa: 30%. Anche il più recente studio di Edmonds su apligraf ha mostrato una significativa maggior percentuale di guarigione completa a 12 settimane nel gruppo  trattato con apligraf, ma con numeri a mio parere decisamente esigui: 17/33 (51.5%) vs 10/38 (26.3%) pazienti (p=0.049)

Lo studio policentrico condotto in Italia con fibroblasti e cheratinociti autologhi ha mostrato un risultato interessante: mentre nel gruppo di pazienti trattati per ulcere dorsali si è avuta una significativa sia pur modesta diminuzione del tempo necessario alla guarigione (p=0.049), nel gruppo trattato per ulcere plantari non vi è stata nessuna differenza (figura 46)

Figura 46 curve di Kaplan-Meier sulla guarigione di ulcere plantari e dorsali (da referenza 117)

L’interpretazione che è stata data di questo risultato è basata sul fatto che i pazienti con ulcere plantari sono stati sì trattati con innesti di cute ingegnerizzata ma sono stati trattati anche con apparecchio di scarico totale. L’ipotesi è stata che l’efficacia dell’apparecchio di scarico ha annullato l’efficacia della cute ingegnerizzata. Il che starebbe a indicare che quando si effettua un trattamento efficace, il classico good wound care degli anglosassoni, ad esempio il trattamento con apparecchio di scarico totale nelle ulcere neuropatiche plantari, l’uso di materiali anche molto sofisticati ma anche molto costosi non porti vantaggiLa figura 47 che mostra le percentuali di guarigione nei tre studi citati rende l’immediatezza visiva di questa affermazione: i gruppi di controllo di dermagraf e apligraf hanno percentuali di guarigione inferiori alla metà della percentuale di guarigione dello studio Italiano  

La figura 47 mostra i risultati di studi su ulcere superficiali con vari tipi di cute ingegnerizzata (da referenze 112,116,117)

 

 

CONCLUSIONI

Gli studi condotti sui vari tipi di medicazioni disponibili raramente sono stati effettuati in condizioni standardizzate e non presentano mai campioni molto numerosi. Mancano quasi del tutto studi randomizzati con  ampia potenza campionaria. Questo anche a causa della molteplicità dei quadri delle lesioni ulcerative che è un oggettivo impedimento all’arruolamento di popolazioni omogenee per gravità di ulcerazione e gravità di comorbidità. Ben pochi sono stati condotti sulle ulcere del piede diabetico dove la complessità delle comorbidità è maggiore rispetto alla popolazione generale.

Non è mai stata dimostrata una efficacia maggiore delle medicazioni avanzate rispetto alle medicazioni tradizionali, ad eccezione di casi sporadici. A questo proposito è paradigmatico  il trial randomizzato controllato di Jeffcoate WJ et al. (119), volto a stabilire la superiorità in termini di efficacia e di impiego di risorse tra tre diverse medicazioni: garza grassa non aderente, InadineÒ e AquacelÒ. Lo studio ha arruolato 317 pazienti, divisi in tre gruppi per tipologia di medicazione; non vi sono state differenze statisticamente significative nel raggiungimento dell’outcome primario, percentuale di guarigione a 24 settimane, né nel numero di recidive entro le 12 settimane. Vi sono stati un numero maggiore di drop-out nel gruppo trattato con garza non aderente per cambio volontario di medicazione a domicilio. Il costo delle medicazioni era molto diverso ma l’elevato costo dell’AquacelÒ è stato bilanciato dalla minore frequenza e dal minor dispendio di risorse domiciliari per il cambio della medicazione. Tuttavia gli autori hanno constatato nel 70% dei casi un cambio di medicazioni effettuato da personale non sanitario.

Questo studio dimostra al di là degli outcomes descritti la grande variabilità dei fattori che devono essere presi in considerazione quando si affronta la problematica della medicazione del piede diabetico

Ma soprattutto si deve tener ben presente quando ci si accinge a medicare un’ulcera del piede in un paziente diabetico: il più grande pericolo di una medicazione è quello di usarla al posto di una terapia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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