Mio padre, Gaetano ……………, era un Uomo estremamente generoso, imprenditore amato e cacciatore. Purtroppo le Sue doti di resistenza fisica, di abilità nel tiro, di prontezza agli stratagemmi non sono servite ad abbattere il peggior nemico che potesse trovare sui percorsi della Sua vita: la malattia del diabete.
Quale malattia cronica e silente, probabilmente ha soggiogato i sensi e persino le paure del mio povero papà che aveva una invincibile avversione agli aghi e di conseguenza ai dottori. Chi avrebbe mai potuto dire che avrebbe trascorso gli ultimi due anni della Sua vita e in particolare gli ultimi sei mesi letteralmente “macellato vivo” in una serie di ospedali del nostro Paese: l’Italia?
Ricoverato nel febbraio 2013 in scompenso glicemico, febbre e addensamento polmonare presso il reparto di Medicina d’Urgenza e poi in quello di Medicina Interna dell’Ospedale ………………, viene dimesso agli inizi di marzo, dopo 13 giorni di degenza, con la diagnosi di: versamento pleurico bilaterale da scompenso cardiaco congestizio, fibrillazione atriale regredita con terapia farmacologica, broncopolmonite, bronco pneumopatia, diabete, retinopatia diabetica con emorragia preretinica in seguito alla somministrazione del cumadin e sepsi delle vie urinarie.
Non dimenticherò mai quel sabato in cui riportai mio padre a casa con le gambe che cominciavano ad andare in linfedema, con bolle enormi piene di liquido che, in pochi giorni, divennero ulcere cutanee. Immediatamente sottoposto a visite specialistiche private: cardiologica e diabetologica, venne rimandato a casa con istruzioni sulle medicazioni di cui dovetti cominciare ad occuparmi io stessa. Nei mesi seguenti andavo in giro con medicamenti vari in borsa, garze, pomate e tutto quanto servisse ogni volta che portavo papà a controllo e, sedendosi, faceva laghi d’acqua sui pavimenti degli studi medici. Il diabetologo, alle mie ripetute domande sul da farsi, si limitò a sospirare affidando mio padre alle cure momentanee (numero 1 medicazione con betadine) di un infermiere del centro.
Dopo un mese ha cominciato a soggiornare, a periodi alterni, presso una clinica privata, di proprietà del cardiologo che lo aveva in cura, dove, in luogo di una coronarografia gli fu praticato un’eco stress farmacologico, dal quale dissero a mio padre e a noi che le coronarie erano libere..nessuna angiografia mai proposta fino allo scorso settembre 2013 quando, dopo un’estate trascorsa col fiato sospeso, nel timore che accadesse l’irreparabile, il chirurgo vascolare della clinica propose, senza prevedere successo, ma anzi in maniera assai demolitiva, di eseguire l’esame. Esame e ricovero prenotati e disdetti per le remore che nutrivo, o un sesto senso, nel vedere il mio papà sempre più fragile e debole, con la pressione in calo impressionante, ma col cardiologo che continuava a rispondermi: “ meglio bassa che alta”. Intanto mio padre aveva avuto un altro infarto, asintomatico, e loro, gli specialisti, nemmeno se ne erano accorti. Portai mio papà al pronto soccorso dello stesso Ospedale di …………. di cui sopra, con nausea, vertigini e strani episodi gastroenterici e fu ricoverato in urgenza presso l’UTIC con diagnosi di infarto non trans murale in sede apicale, e pregresso infarto inferiore misconosciuto. Sottoposto a coronarografia scaturì l’indicazione alla rivascolarizzazione chirurgica. Alla mia domanda: “può essere trasferito?” – mi fu risposto, dal Primario, dottor……………: “Perché, dove lo deve portare??”
Gesù!! Mi misero nella condizione di non poter scegliere che affidare il mio povero papà nelle mani della “famigerata” equipe del Professor ………………, che, malauguratamente per noi, ha potuto esprimere al meglio le Sue competenze e l’umanità. Operato l’11 ottobre 2013 di doppio by pass (che nelle indicazioni avrebbe dovuto essere triplo), esce dalla sala operatoria traumatizzato dall’estrazione della vena safena (taglio dal ginocchio alla caviglia), a crudo, ad opera di infermieri della sala operatoria e soprattutto con le gambe (diabetiche vasculopatiche) devastate da ustioni e piaghe che definirono “da decubito”. Mai rimesso in piedi, dopo 7 giorni, viene trasferito, col pretesto della fibrillazione atriale, nel reparto di cardiologia, dove rimane praticamente abbandonato a sé stesso, rinchiuso in una stanza singola con l’unica compagnia di un crocifisso di fronte. In cartella hanno scritto che, 17 giorni dopo l’intervento a cuore aperto, “il paziente ha espresso il desiderio di essere dimesso, rifiutando di sottoporsi all’esame di cardioversione elettrica” che, una volta a casa, è stato sconsigliato, per le precarie condizioni e la ferita chirurgica recente, da tutti i cardiologi che lo hanno visitato a domicilio. La dimissione avvenne dopo che il Primario, convocatami a colloquio, mi chiese: “C’amma fa (che dobbiamo fare)?” – E lo chiedeva a me!! D’accordo con la clinica, avrebbero voluto trasferirlo in degenza-parcheggio in una struttura senza rianimazione e strumenti adatti. Portai papà a casa in ambulanza e chiamato un chirurgo a pagamento perché curasse le ulcere alle gambe, cercavo di fargli muovere qualche passo con l’aiuto del girello. Finché una sera mi accorsi che lo sterno era aperto! Immediatamente ricoverato in cardiochirurgia terapia intensiva per stereotomia infetta, cominciò il calvario della VAC terapia con medicazioni e tamponi ogni tre giorni a crudo. Nel frattempo la situazione delle gambe peggiorava, ma nessuno, nemmeno alle dimissioni, il 23 dicembre, mi ha mai detto che quello era UN PIEDE DIABETICO e che esistevano centri e MEDICI in grado di occuparsene. Perché?? Eppure il cardiologo che lo aveva in cura è sposato con una diabetologa che conosceva il dottor Clerici e la Multimedica di Sesto S. Giovanni a Milano. Perché il diabetologo mi ha detto che “in tutta la …………. non esistono centri e medici in grado di curare il piede diabetico” e, alla comparsa della prima necrosi al mignolo, mi ha mandata a ………….?..Così, in quattro e quattr’otto porto papà in ambulanza (ormai non riusciva a camminare), visita privata, dal Prof. ……………, Primario Vascolare presso l’Ospedale ……….. di ………… Questi guarda mio padre sofferente in barella, gli tasta l’inguine, con faccia disgustata per il cattivo odore della cancrena e sbotta: “Signor ……………, queste gambe non le servono più! “e ci rimanda all’ospedale di ………. perché nel Suo reparto non si prendono cura dei “casi disperati”. Il Primario vascolare di ………., senza aver voluto visitare il paziente né ospedalizzarlo, sentenzia che probabilmente non avrebbe nemmeno potuto amputare le gambe e che il destino di mio padre era segnato. Prescrisse una tac con mdc da fare esternamente. Disperata, in una notte, trasportammo mio padre al ………. di Milano dove avevamo avuto “la fortuna” di una visita privata col Professor …………, grande luminare della chirurgia vascolare, che accetta mio padre in reparto con diagnosi di ischemia critica agli arti inferiori, dolore, necrosi ai talloni e necrosi umida e maleodorante dell’avampiede, della volta plantare e del V dito. Questo agli inizi di aprile 2014. Rivascolarizza in parte la gamba sinistra dicendomi di avergli salvato anche il piede ma dimettendolo, di fatto, in cancrena con la sola indicazione di “adeguato follow-up presso Ambulatorio Lesioni trofiche”. Già, ma dove?? Al rientro a casa l’entusiasmo e la fiducia che papà sembrava aver ritrovato naufragarono nel primo tentativo di rimanere in piedi. Le gambe non reggevano e il piede doleva.
La mia estenuante e disperata ricerca delle cure adeguate e di questo maledetto, introvabile “ambulatorio per le lesioni trofiche” si susseguiva tra continui buchi nell’acqua: ospedale ortopedico (dove mi illudevo avrebbero potuto rimuovere il tessuto in necrosi e limitare l’infezione che nel frattempo lo stava devastando), camera iperbarica, dove il Primario, eseguendo una banale ossimetria, demolì il lavoro fatto al…. in due parole…, infettivologo, cardiologo. Non sapevo più cosa fare fino a che, ultimo nella lista, mi venne in mente il DOTTOR PRISCO presso l’ospedale di Curteri a Mercato San Severino (SA). Quella notte mio padre aveva pianto tutto il tempo…e quando gli dissi di fare quest’altro tentativo quasi non voleva.
Era quello il “famoso Ambulatorio”!! Se solo lo avessi trovato prima!! Se solo qualcuno mi avesse detto come curare papà…se solo fossi arrivata alla Multimedica, dal dottor Clerici e la sua straordinaria equipe prima, in tempo.
Perché in tempo non siamo arrivati…anche se, nelle ultime tre settimane della Sua vita, il mio adorato e fortissimo “papocchio” ha continuato a lottare, mettendocela tutta e senza più piangere, confortato dalla competenza con cui veniva finalmente assistito e dalla speranza che i medici, con i loro interventi di amputazione parziale, gli avevano dato di poter camminare di nuovo.
Gli avevo promesso che sarebbe andato di nuovo a caccia e che avrebbe guidato, lavorato, che si sarebbe occupato delle Sue meravigliose rose, creando innesti sempre nuovi e stupefacenti, per gli occhi e..per il cuore. Il mio. Che adesso piange disperato, senza consolazione alcuna, soffrendo di un Dolore che è più grande di quello d’aver perduto un genitore. E’ il dolore della sconfitta, subita a causa di una lotta impari tra la ricerca e il DIRITTO alle cure e un sistema sanitario che ormai fa solo politica. Il Cuore immensamente grande del mio papà si è fermato di notte, mentre era solo. E…sapete? Al Professor ………………….. (che saltava la stanza di mio padre durante il giro visite!) dobbiamo anche l’orrore che il mio papà ha dovuto affrontare di partecipare all’intervento di amputazione della gamba sinistra senza anestesia generale a causa del fatto che, in seguito all’intervento al cuore eseguito male, era risalito l’emidiaframma sinistro.
Sono furiosa e credo che non mi rassegnerò MAI al fatto di non aver avuto a disposizione i mezzi per curare adeguatamente mio padre che, probabilmente non sarebbe vissuto a lungo lo stesso, ma sicuramente avrebbe sofferto molto meno e se proprio in quella bara avesse dovuto finirci senza gamba, quantomeno avremmo avuto il tempo di provare a fargli fare qualche passo, senza dolore.
Al dottor Clerici..grazie. Per quanto abbia voluto rassicurarmi di aver fatto “tutto il possibile”, tutto il possibile non è stato abbastanza. E il vuoto dell’assenza di mio padre non sarà mai colmato dalla pace.
Raffaella